Breve storia della follia
Uno sguardo alla concezione della follia in Occidente dalla Grecia antica fino ad oggi
La follia, tanto affascinante quanto sfuggente, è stata vista nei modi più disparati: a volte ha assunto un’accezione negativa, altre una connotazione positiva; è stata osannata e disprezzata al tempo stesso; allontanata e indagata. Nonostante tutto però una cosa è certa: è sempre stata fonte di ispirazione per artisti e poeti. Dalla rappresentazione di Hieronymus Bosch (Nave dei folli), risalente al XIV° secolo, fino alla sua apparizione in adattamenti cinematografici in tempi più recenti (Qualcuno volò sul nido del cuculo), la follia ha sempre trovato il suo posto nelle arti.
Ma al di là dell’arte, nella quotidianità, com’è nata la follia? e come è stata vista nelle diverse epoche storiche?
Tracciare una storia della follia è un lavoro complesso. Essendo questo un tema che ha cambiato diverse vesti nel corso dei secoli, il suo percorso evolutivo l’ha portata ad essere definita e trattata negli anni in modi molto differenti.
La storia che stiamo per raccontare si intreccia inevitabilmente con quella di altre discipline quali la religione, la medicina, la psicologia, la psichiatria e non solo; tutte discipline che ne hanno profondamente influenzato il percorso.
Un monito, però, prima di proseguire: per cercare di comprendere fino in fondo questa tematica, è necessario affrontare la sua evoluzione nel tempo con occhi diversi: non è possibile capire cosa fosse la follia in epoca antica o medievale rimanendo radicati alla nostra concezione contemporanea di malattia mentale, ma occorre leggerla secondo la mentalità di quella specifica epoca storica.
Ci accingiamo ad entrare nel mondo dei folli, coscienti della mutevolezza della loro appartenenza nella storia.
La follia nel pensiero Greco antico
Tra pazzia e irrazionalità
Il nostro viaggio ha inizio nell’antica Grecia, dove la follia era letta come uno stato di turbamento temporaneo che colpiva un individuo nel momento in cui una divinità, ne influenzava le azioni costringendolo a compiere atti non convenzionali, spesso inconsci.
Testimone di questa visione è la religione omerica: L’Iliade e l’Odissea narrano di un mondo dominato da eroi e da divinità, offrendoci numerosi esempi di condotta sconsiderata: come quella volta in cui a Glauco fu tolto il senno, fatto che lo indusse a compiere un cattivo affare, barattando armi d’oro per armi di bronzo. Ma ancora più famoso è l’episodio di Agamennone che, in un impeto di follia, ruba ad Achille la sua serva prediletta e si scusa poi dicendo:
I personaggi dei poemi omerici si rendono conto della propria condotta, ma la giudicano come qualcosa di estraneo al loro io, qualcosa che chiamano atē, su cui non hanno alcun controllo.
La follia al di là del mito
Nella quotidianità, lontano dai miti e dagli eroi, la follia si fa strada anche tra la gente comune. Se tra le classi colte la malattia in questione assume una connotazione positiva, sacra, tra le credenze popolari la cosa viene vista come una maledizione divina tanto da far temere persino il contatto con gli individui affetti da questo male. I malati venivano evitati e spesso perseguitati o presi a sassate. È difficile tracciare una linea di demarcazione tra le diverse credenze. La pazzia, in ogni caso, continua ad essere percepita come un contatto con la divinità.
Ippocrate e Galeno
Se inizialmente si fa riferimento principalmente all’epica e ai poemi Omerici, che tanta parte hanno nell’influenzare le credenze popolari, in un secondo momento diventano di grande importanza le teorie introdotte in campo medico-filosofico dal greco Ippocrate (riprese e ampliate poi dal suo collega Galeno).
Le sue teorie si possono considerare delle precoci riflessioni mediche grazie alle quali la follia comincia a essere trattata alla stregua delle altre malattie, diventando quindi curabile. Ippocrate propone un approccio razionale che sottolinea l’importanza del medico.
È in questo momento, a partire dal III secolo a.C, che si apre un vero e proprio arsenale terapeutico a disposizione dei medici.
Le medicazioni variano dalle cure allopatiche, alle cure suppletive, a quelle evacuanti. Queste ultime sono le più usate come cura alla follia: ventose, sanguisughe, sostanze irritanti per provocare eruzioni cutanee e per far uscire gli umori superflui o viziati presenti nel malato. Si comincia anche a parlare di isolamenti, anche se ancora a titolo privato. Solamente in casi molto rari si potranno utilizzare anche metodi di costrizione dei movimenti.
Circa sei/sette secoli dopo le teorie di Ippocrate, un medico Galeno di Pergamo (129 d.C - 201 d.C ca.), riprende le sue idee, aggiungendo ulteriori riflessioni in merito al tema della follia.
Galeno parla della follia come di uno stato degenerativo delle passioni: nel momento in cui l’individuo non riesce più a svolgere le attività quotidiane in modo normale ecco che la passione diventa malattia. A sostegno della sua tesi porta l’esempio di Medea nella versione narrata da Euripide. La donna, invaghitasi di Giasone, lo aiuta nell’impresa della conquista del vello d’oro. Compiuta l’impresa i due si rifugiano a Corinto dove il re Creonte propone un accordo a Giasone: prendere in sposa la figlia Glauce in cambio della corona del regno. Spinto dall’ambizione Giasone accetta, scatenando la furia di Medea che uccide Glauce, Creonte e i suoi stessi figli, così da infliggere più dolore possibile a Giasone. Galeno si serve della figura di Medea per dimostrare come le passioni possono diventare follia. Per lui Medea diventa folle nel momento in cui la passione amorosa per Giasone sfocia in omicidio. Una storia che ha i suoi risvolti ancora oggi nella psichiatria moderna, dove la tendenza di una madre a desiderare la morte dei propri figli, è definita complesso di Medea.
Il medico di Pergamo riprende alcuni concetti da Ippocrate, diversamente dal suo predecessore, però, per Galeno è necessario curare il paziente anche facendo attenzione all’aspetto umano. Per questo si rende necessario il dialogo con il paziente, in modo da farlo parlare della propria follia per renderlo consapevole e responsabile.
Emerge con Galeno la necessità di curare l’individuo nella sua interezza.
La follia nel pensiero medievale
Tra tolleranza ed esclusione
Il periodo medievale abbraccia anch’esso un lungo periodo di tempo, quasi dieci secoli, dove ancora una volta vediamo come la follia sia estremamente connessa alla religione. In una civiltà così dipendente dai valori cardine del cristianesimo, quali la carità e l’assistenza, l’atteggiamento nei confronti dei folli era duplice: da una parte vi era una certa tolleranza, mentre dall’altra numerosi erano gli atti persecutori che vedevano i folli allontanati ed emarginati dalla collettività cittadina.
È in questo spirito evangelico di tolleranza che nascono, e si moltiplicano, le fondazioni ospedaliere, create per ospitare tutti coloro che fossero stati colpiti dal demonio. Degli ospizi, conosciuti con il nome francese di Maison Dieu, accolgono bisognosi di ogni sorta, tra cui anche i folli. Venivano ammessi al loro interno solo coloro la cui condizione fosse ritenuta curabile, quindi ne erano esclusi, tra gli altri, lebbrosi, paralitici, ciechi e malati di mente gravi. Per loro si poteva però ricorrere a un’altra forma di isolamento e di allontanamento dalla città: la nave dei folli o Stultifera navis.
Non era insolito infatti, vedere i folli riuniti all’interno di un’imbarcazione abbandonata alla corrente, una nave che fungeva da luogo di isolamento e internamento.
L'espediente della nave, come modalità di separazione del folle dal resto della comunità, viene estremizzato nel corso del XVIII secolo a Venezia, quando i pazzi venivano rinchiusi nella pubblica fusta.
Un naviglio ancorato in bacino San Marco, inizialmente nato solo come luogo di detenzione dei prigionieri, ma poi utilizzato anche per la reclusione dei pazzi.
L’imbarcazione però, per quanto grande, era incapace di contenere l’enorme quantità di folli che vi venivano reclusi, che furono poi trasferiti sull’isola di San Servolo. Qui, nel 1798, viene aperto un manicomio, ora adibito a museo.
Durante il medioevo molte delle cure usate in precedenza per la guarigione delle malattie mentali rimangono. Anche in questo caso si parla ancora di una piaga religiosa dove il medico ha poca parte nella cura del malato e i pazienti vengono gestiti dalle autorità ecclesiastiche che, al contempo, somministrano anche le cure. Nelle Maisons Dieu i malati vengono curati con infusioni, sciroppi, pillole, unguenti e oli, oltre che con calmanti come l’oppio e l’assenzio, o antispasmodici e sostanze purganti come sanguisughe e clisteri. Si aggiungono alla lista delle cure inflitte ai malati, anche pratiche decisamente più invasive, indicate proprio per tirare fuori il demonio dal corpo. Vediamo così l’affermarsi di cure comprendenti l’idroterapia, indicata per i problemi mentali, o frustate e trapanazioni in casi di epilessia prolungata.
Il folle, quindi, era percepito come una persona bisognosa di aiuto, in quanto non poteva provvedere a se stesso. Al contempo, però, era anche un monito per la comunità e spesso il suo ruolo di capro espiatorio fungeva da sfogo sociale. Questa visione discriminatoria portava ad azioni gravi, quali la lapidazione. Comportamenti di questo tipo li ritroviamo anche nella letteratura medievale. Nelle storie del ciclo bretone emerge l’esempio di Tristano, nel momento in cui viene travolto da una follia amorosa a causa dell’allontanamento forzato dalla sua amata Isotta. Nei romanzi che narrano l’amor cortese, appartenenti alla letteratura in lingua volgare, che nascono nella seconda metà del XII secolo, emerge in modo preponderante il tema della follia amorosa. Grandi protagonisti come Lancillotto, Rolando e Perceval finiscono per fare discorsi irrazionali e tenere condotte assurde come sfilarsi di dosso i vestiti e correre nudi. Altri tratti di questi personaggi sono la rumorosità, la violenza e la solitudine che incitano la follia amorosa.
La follia nella modernità
Da piaga religiosa a piaga sociale
Secondo Michel Foucault, il classicismo ha inventato un nuovo tipo di internamento come reazione alla miseria che vedeva i poveri come violenti, minacciosi, pigri ed eretici. Un concetto amplificato anche dalle nuove dottrine come il calvinismo, che condanna l’elemosina. Si sviluppa in questo contesto una nuova concezione di follia, secondo cui il folle viene inquadrato all’interno di un orizzonte morale che, tra le altre cose, condanna l’ozio.
Da vizio generico a madre di tutti i vizi, la follia, prima vista come una punizione divina, ora diventa una colpa e un difetto. Con la fine del periodo Medievale la lebbra sparisce e a sostituirla nell’immaginario comune sarà un’altra paura secolare: la follia. Luoghi e beni prima dedicati ai lebbrosi vengono ridestinati ad altri usi e riclassificati in ospedali e centri di assistenza per malati mentali.
Nel 1581 nasce in Italia il primo ospedale generale di questo tipo e nel 1656 nasce il più famoso: l’Hôpital Général di Parigi di cui Salpêtrière e Bicêtre sono i due edifici più importanti. Il primo dedicato alle donne e il secondo agli uomini. Saranno le due ali dell’ospedale dove opereranno anche Pinel e Esquirol: due figure chiave nella nascita della psichiatria che incontreremo più avanti nel nostro percorso storico.
Ben presto questa forma di struttura, che si distingue dai luoghi di internamento precedenti per la sua natura amministrativa e non più religiosa, si espande in tutta Europa diventando precursore dei manicomi. Si tratta di strutture simbolo dello stato assoluto in cui assistenza e repressione si fondono in un amalgama eterogeneo di casi clinici. Comincia a elaborarsi una dottrina di assistenza sociale secondo la quale la miseria è figlia dello stato. La società è quindi tenuta a riparare al male che ha causato: idea che sta alla base dell’assistenza pubblica odierna.
Questi luoghi di detenzione funzionano attraverso lo strumento legale della Lettera a cachet: una lettera provvista di sigillo reale, utile perché permette rapidità e discrezione, ma il problema di fondo permane: il criterio di selezione è il giudizio del comportamento del malato, e non una vera diagnosi medica.
Ci stiamo avvicinando alla fine dell’Ancien Régime, molti sono i passi in avanti, ma i problemi del trattamento riservato ai folli rimangono ancora troppo numerosi. I temi della follia come alienazione prendono avvio in quegli anni che condurranno, non a caso, a una nuova denominazione dei folli e dei loro guaritori, rispettivamente in alienati e alienisti. Tutte le speculazioni filosofiche, psicologiche e sociologiche di questo periodo, giungeranno a una piena maturazione nel secolo successivo.
Da un punto di vista medico le conquiste cominciano a palesarsi, la psichiatria istituzionale sta per nascere.
La follia in epoca contemporanea
La nascita della psichiatria
La fine dell’antico regime porta con sé tutta una serie di riforme che poggiano su basi di tipo filantropico. Nascono in un primo momento in Inghilterra ma ben presto si espandono in tutta Europa. Come prima cosa viene abolita la formula della lettera a cachet e viene istituito un decreto che determina il rilascio di tutti i detenuti delle case di forza. Tutti coloro che vedranno il rilascio saranno sottoposti a un’accurata visita medica per comprendere il reale stato di salute. Nonostante il giudizio finale sia poi quello del giudice, il parere del medico comincia ad assumere più importanza. La ricerca sulla malattia mentale inizia a emergere con forza: sono questi gli anni della nascita della psichiatria. Si passa, in breve tempo, dall’analisi della follia attraverso i suoi comportamenti quotidiani, verificabili da tutti, al giudizio della follia tramite procedure mediche e scientifiche oggettivamente analizzate
A seguito di questi sviluppi, nasce la necessità di ripensare anche i luoghi di internamento. I luoghi precedentemente deputati all’accoglienza dei folli non sono più adatti, principalmente per il fatto che un luogo dedicato esclusivamente alla follia ancora non è mai esistito.
Nascono così i primi manicomi: luoghi che possono operare solamente sotto consenso delle autorità e che sono soggetti a ispezioni quotidiane.
All’interno di questi istituti il quadro delle terapie è tanto vasto quanto vario. Oltre ai farmaci classici prescritti anche nel periodo medievale, troviamo terapie nuove. La cura dei malati si diversifica secondo le diverse tipologie di follia: mania, malinconia, ipocondria, frenesia, demenza e persino stupidità. Sanguinamenti e trasfusioni per la mania, ma anche elettroshock e uso di elleboro come sostanza purgante; sedativi e narcotici come l’oppio; bagni caldi e freddi a seconda della patologia.
Nato a tutela del malato, il manicomio ha in realtà continuato a tutelare la società dalla pericolosità del pazzo, utilizzando gli stessi strumenti e le stesse tecniche delle prigioni da cui lo avevano liberato. Ma mentre la galera puniva il delitto commesso, il manicomio si trova a punire tutto il comportamento del malato
Pinel e Esquirol
Prima di Pinel si parla di storia della pazzia, dopo di lui la pazzia si intreccia con la storia della psichiatria e con il suo metodo di benevolenza e di ascolto senza pregiudizio.
Il medico francese si occupa principalmente dello studio della follia come malattia mentale: a lui si deve il merito di aver ridimensionato i metodi terapeutici brutali a cui erano sottoposti i pazzi. Lavora all’Hôpital Général di Parigi, l’istituzione incontrata nel XVII secolo deputata a luogo centrale per la politica di internamento dei malati. Pinel lo ridimensionerà all’insegna di un dialogo con i malati, trasformando l’internamento in una vera e propria terapia. Inizia finalmente ad esserci una vera condanna di alcuni, anche se non ancora tutti, metodi repressivi condotti sui pazienti e conquiste quali la rimozione delle catene ai malati. Il folle viene finalmente visto come un essere ragionevole e dotato di dignità morale, non più solo come soggetto pericoloso, ma persona portatore di un malessere che occorre curare.
Sebbene a Pinel venga riconosciuto il grande merito di aver sostituito l’antica credenza secondo cui il malato mentale non sia umano, non è del tutto vero che fosse completamente estraneo ai metodi repressivi: l’uso della camicia di forza non scompare anzi, forse, si intensifica diventando il nuovo simbolo di identificazione della follia.
Insomma, c’è ancora molto lavoro da fare, sia a livello medico sia a livello sociale, dove i matti sono ancora guardati con terrore e disapprovazione. Pinel spezza le catene troppo presto: questa epoca storica non è ancora pronta ad accogliere i dettami dei valori moderni.
A continuare questa lotta, finalmente rivolta contro la follia e non contro il folle, è Jean-Étienne-Dominique Esquirol (1772-1840), suo collaboratore. Ponendosi, come Pinel, nella prospettiva della curabilità della follia, il medico di Tolosa comincia il suo percorso nel manicomio di Charenton dove per molti anni sarà internato anche il drammaturgo Donatien-Alphonse-François Sade. Qui si applicavano metodi riabilitativi che includevano anche spettacoli teatrali di cui Sade era il regista. Gli spettacoli prevedevano la partecipazione di persone anche esterne al manicomio, un pubblico forse più attratto dalle stranezze dei matti che dall’effettiva rappresentazione dello spettacolo. Esquirol proponeva e realizzava scuole e lavoro all’aria aperta come mezzi di riadattamento. Delle iniziative forse fin troppo innovative per il governo della Francia napoleonica che infatti ordinò di liquidare il teatro in quanto modalità espressiva estrema.
Le leggi napoleoniche e quelle successive non intervennero solo sulle attività del manicomio, ma anche sulla struttura dello stesso, contribuendo a trasformarne l’organizzazione interna del luogo di cura e a trasferirlo ai margini della società, nelle periferie. Questo cambiamento, che sembra apparentemente innocuo, in realtà ci dice molto anche su come la concezione di follia stesse mutando nuovamente: agli inizi del XIX secolo questa malattia venne invasa da una sistematizzazione classificatoria e il matto si riduce a un insieme di sintomi oggettivamente osservabili. Inoltre, il folle cessa di avere una funzione e un posto nella società ma diventa un mero ingombro sociale. Con questi nuovi luoghi di internamento, modernamente intesi, inizia l’epoca delle grandi reclusioni. Si tratta di spazi che cercano di separare gli incurabili. Ordine e rigore, guerre e rivoluzioni possono passare davanti alle mura del manicomio senza cambiare il rito della quotidianità. Abiti standardizzati e contatti con l’esterno poco frequenti e controllati.
In questo modo l’esterno diventa un pianeta lontano per chi vive dentro le mura del manicomio. A peggiorare ulteriormente la situazione sono la chirurgia e la farmacologia che nascono in questi anni e si inseriscono nel programma di cura dei pazzi. Famoso metodo di cura diventa la lobotomia che consiste nel disconnettere il lobo pre-frontale dai centri cerebrali sottostanti (talamo, ipotalamo) per sottrarlo agli impulsi patogeni emotivi e neurovegetativi.
Hitler e l'eugenetica
Se con l’inizio del nuovo secolo la situazione sembra migliorare: il paziente gode dello stato di persona e la psichiatria si impone come concetto globale, già dai primi anni venti i piccoli progressi conquistati assumono una battuta d’arresto. Sono gli anni dell’ascesa Hitleriana con le sue teorie sull’eugenetica che mirano allo sviluppo delle qualità innate di una razza favorendo la riproduzione dei più idonei e ostacolando la riproduzione degli inadatti. Quest’ultimo punto programmatico è portato avanti attraverso l’eutanasia che colpisce, tra gli altri, anche i malati mentali. Medici e infermieri sono incoraggiati a non curare più i propri pazienti, la popolazione assiste a proiezioni di documentari che mostrano malati di mente gravemente colpiti, la propaganda nazista intende quindi dimostrare l'inutilità della loro vita. Vengono allestiti sei centri di sterminio, con una camera a gas e forni crematori. Il personale è scelto più per la sua affidabilità politica che per la sua competenza medica. Non mancano episodi di protesta a queste operazioni barbare che provengono da medici e infermieri dediti alla loro professione, dalle famiglie dei malati e anche dal personale ecclesiastico. A causa di queste resistenze Hitler è costretto ad abbandonare il programma chiamato T4, tuttavia questo non gli impedisce di perpetrare le sue torture.
La gassificazione è sostituita dalla privazione di cure, del riscaldamento e soprattutto del cibo. Quest'ultima, organizzata scientificamente, è fatale in tre mesi. Si chiama "dieta B". Altri 30.000 malati di mente moriranno in questo modo fino alla fine della guerra.
Con l'esaurirsi del conflitto la situazione non migliora: i medici e gli infermieri vengono impiegati in luoghi più “utili” e i manicomi vengono affidati a guardiani spesso privi di qualifica e anche di moralità: i malati di mente venivano quindi regolarmente costretti ai lavori forzati, ammanettati, immobilizzati tutti i giorni, picchiati, violentati. Negli anni ‘50 però le cose sembrano migliorare grazie all’introduzione di farmaci rivoluzionari nel trattamento prolungato della psicosi cronica.
- Cloropromazina/largactil → riduce ansia e tensione emotiva
- Antidepressivi e regolatori dell’umore → farmaci deputati alla gestione della depressione
- Prozac → messo a punto molto più tardi (negli anni novanta)
L'arrivo sul mercato di questi ultimi, insieme ai regolatori dell'umore permette di soddisfare la crescente domanda per la gestione della depressione. Il rapido sviluppo della psicofarmacologia cambierà radicalmente la cura dei malati di mente, consentendo presto cure ambulatoriali capaci di rallentare gli internamenti. Questo trionfo della psicofarmacologia non è privo di ombre. Gli psicofarmaci infatti inducono dipendenza con gravi sindromi da astinenza, inoltre si tratta di un trattamento sospensivo della psicosi più che curativo. Introducono anche alcuni problemi di carattere morale e saranno infatti considerati da molti come delle camice di forza astratte. Inoltre, i nuovi farmaci messi a punto nel corso degli anni ‘90, essendo prescrivibili dagli psichiatri, allargano la platea dei soggetti raggiungibili da queste cure rendendo più labile la distinzione tra malattie mentali e disturbi di ansia o leggeri turbamenti.
Come se non bastasse le terapie vecchie non si sono arrestate del tutto: ancora oggi, a cinquant'anni dalla comparsa delle terapie biologiche, l'elettroshock è ancora presente sotto il nome di "sismoterapia", o "terapia elettroconvulsiva" (ECT). La sua somministrazione si è evoluta molto, è richiesto il consenso informato del paziente o, se non è in grado di darlo, quello del suo tutore legale. L’idroterapia ha invece lasciato il posto al “confezionamento”: si avvolge il paziente in coperte imbevute di acqua fredda durante diverse sessioni quotidiane. Metodo ancora valido, soprattutto per quanto riguarda i bambini autistici e psicotici.
Ma quindi, in sostanza, tutte queste evoluzioni che si manifestano mentre ci si addentra nella seconda metà del XX secolo, non sono però forse involuzioni?
Diversi metodi ma stesso risultato. Questo è quello che si chiedono molti psichiatri degli anni ’60 che si scagliano contro i metodi cosiddetti “liberatori” della psichiatria che non fanno altro che incatenare il malato mentale tanto quanto prima. Nasce così l’ondata anti-psichiatrica che richiama alla mente i nomi di psichiatri e filosofi, quali Basaglia, Foucault, Chomsky e così via. Questa ondata, con conseguenze fatali per la psichiatria tradizionale, non può però essere intesa come una rivoluzione improvvisa. In effetti, l'antipsichiatria è antica quanto la stessa psichiatria e le sue manifestazioni sono già apparse nel secolo d'oro del manicomio. A differenza di allora, però, questa volta la protesta arriva anche al grande pubblico attraverso un fenomeno di ipermediazione della follia. In tutto il mondo occidentale, libri, interviste e dibattiti mettono l'antipsichiatria e la follia all'ordine del giorno e anche il cinema documentario gioca un ruolo importante; tra i tanti ricordiamo Regard Sur la Folie del 1962 di Mario Ruspoli, ma anche il cinema di finzione non è da meno, si pensi al film di Miloš Forman del 1976: Qualcuno volò sul nido del cuculo che, tra l’altro, ha dato vita alla recentissima serie televisiva Ratched basata sulla figura dell’omonima dottoressa del film. La portata della rivoluzione, che si inserisce in un insieme di contestazioni più ampie, sta nel fatto che questa volta non viene messa in discussione la modalità del trattamento, ma la follia stessa che diventa la metafora di tutto ciò che turba le società normalizzate dell'uomo unidimensionale.
Franco Basaglia (1924 - 1980)
In Italia il movimento antipsichiatrico è particolarmente forte grazie alla figura di Franco Basaglia, nato a Venezia, medico dal 1949 e psichiatra dal 1959. Le sue opinioni politiche lo portano all'esilio nell'oscuro ospedale psichiatrico di Gorizia, vicino a Trieste, dove si confronta con la triste realtà del manicomio. Insieme a sua moglie racconta di condizioni di vita inumane, persone private della loro libertà ma anche di ogni singolarità. Uomini rasati, vestiti tutti uguali, che camminano tenendosi i pantaloni (le cinture e i lacci erano vietati, per paura di autolesionismo). Anche le condizioni in cui vivevano erano intollerabili: sporicizia, urina, topi, catene e inferriate alle finestre.
Basaglia era consapevole della disumanizzazione delle prigioni essendo stato, da giovane, condannato e incarcerato per breve tempo a Venezia, a causa di alcune idee dichiaratamente antifasciste. L’esperienza di prigionia vissuta in prima persona lo porteranno a radicalizzare le sue posizioni e a liberare i malati, appellandosi alla loro umanità.
Non si tratta più di migliorare il manicomio ma di farlo sparire, il malato secondo lui deve essere trattato prima di tutto come un umano e non come un caso clinico. Grazie a lui il 17 maggio 1978 viene approvata la Legge 180, anche detta “Legge Basaglia” che pone l’Italia all’avanguardia in questo settore. La legge vieta ogni nuovo internamento psichiatrico e ogni nuova costruzione di ospedali di questo tipo. I piccoli reparti psichiatrici vengono allestiti negli ospedali generali, mentre l'internamento d'ufficio (ora chiamato "trattamento contro la volontà") non può superare i 6 mesi e deve avvenire solo dopo il comprovato fallimento di qualsiasi alternativa.
A Gorizia, Basaglia compie una vera e propria rivoluzione: riporta gli abiti civili permettendo ai malati di recuperare un pezzo della loro identità, mettendo fine al degrado e alla sporcizia, vietando ogni forma di costrizione, istruendo il personale. A Trieste poi si spingerà oltre: apre l’ospedale alla libera circolazione abolendo la distinzione tra sale maschili e femminili e permettendo ai malati di uscire dal manicomio. Oggi, in Italia, grazie a lui e ad altri come lui, si assiste a un minor ricorso alle cure psichiatriche.
La Biblioteca Inclusiva
Biblioteca Inclusiva nasce nel 2019, grazie all’impegno della Fondazione Bertini Malgarini, con lo scopo di portare ai cittadini di Milano un luogo di studio, incontro e inclusione sociale in uno spazio aperto al confronto e alla crescita. Attraverso servizi mirati, corsi di formazione e eventi culturali aperti a tutti, la biblioteca si impegna nel processo di democratizzazione del sapere alla base dell’istituzione bibliotecaria fin dalla sua nascita.
Il Muro delle Pagine alla Biblioteca Inclusiva di Fondazione Bertini a Milano
Un'installazione liberamente ispirata da Il Muro di Alighiero Boetti che ha come scopo quello di mettere insieme tanti pezzi di un puzzle per ricomporre l'intero: un discorso sulla salute mentale.
Fondazione Wurmkos è una gruppo storico di artisti con disagio psichico che ha realizzato mostre ed installazioni in Italia e in Europa.
Marco Cavallo di Francesco Fregapane. Dipinto che simboleggia la scultura realizzata a Trieste nel 1973, nella cui pancia sono state inserite tutte le lettere con i desideri dei pazienti. Alla chiusura del manicomio è stato portato in corteo per le strade della città.
Recentemente ha fatto un giro per tutti gli ospedali psichiatrici giudiziari d'Italia, poi chiusi e sostituiti dalle REMS.
Iniziative pubbliche realizzate per alcuni anni dal Coordinamento Milanese del terzo settore per la Salute Mentale (una trentina di realtà) in collaborazione con il comune di Milano, di lotta allo stigma.
Slogan dell’associazione “Club SPDC no restraint”. Movimento nazionale che raggruppa una trentina di servizi psichiatrici di Diagnosi e Cura che non legano le persone (non utilizzano sistemi coercitivi meccanici) e che tengono le porte dei reparti aperte.
Il Museo del Novecento di Milano ha ospitato alcuni percorsi di formazione per persone con disagio mentale sulla figura del Facilitatore Arte salute. Da queste esperienze nascerà l’associazione ART UP.
Il Museo ha anche ospitato la Biblioteca Vivente sul tema della salute mentale.
La radio fa parte della piattaforma Share radio. Composta da una dozzina di persone con disagio mentale registra una “trasmissione” settimanale. Si occupa di realizzare interviste sulla salute mentale e della diffusione in streaming di alcuni convegni.